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"Oggi, in un'epoca in cui accanto a un'intensificazione delle relazioni immateriali fra le persone si assiste a una progressiva individualizzazione e frammentazione della società, lo sforzo di recuperare attraverso l'architettura il valore della prospettiva comunitaria che una città è in grado di esprimere rappresenta un'azione di rilievo culturale e di impegno civile nello stesso tempo; ciò può avvenire, ad esempio, proprio promuovendo la qualità dello spazio pubblico - che è sempre uno spazio di confronto e di incontro tra le persone - e immaginando modi più soddisfacenti per abitarlo. Può essere utile riscoprire a questo proposito la lezione di Hannah Arendt quando sosteneva che: "(...) il termine 'pubblico' significa il mondo stesso, in quanto è comune a tutti e distinto dallo spazio che ognuno di noi occupa privatamente. Questo mondo, tuttavia, non si identifica con la terra o la natura, come spazio limitato che fa da sfondo al movimento degli uomini e alle condizioni generali della vita organica. Esso è connesso, piuttosto, con l'elemento artificiale, il prodotto delle mani dell'uomo, come pure con i rapporti tra coloro che abitano insieme il mondo fatto dall'uomo. Vivere insieme nel mondo significa essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno; il mondo, come ogni in-fra (in- between), mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo». Focalizzare l'attenzione sugli spazi aperti della residenza collettiva e sugli spazi di relazione e di bordo tra l'alloggio e la città - cioè sugli spazi tra le case (e le cose) più che sulle case stesse - è anche un atto di fiducia verso la dimensione pubblica del nostro abitare il territorio; di questo, sia l'architettura che le nostre città hanno oggi forte bisogno." (Dalla Presentazione di Roberto Vanacore)